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giovedì 16 novembre 2006

PANAMA 2006

PANAMA, MI AMOR



PREFAZIONE

Ogni viaggio è qualcosa di personale, irripetibile persino dalla persona stessa che lo ha vissuto.
Un tassello, un pietra miliare oppure un granello che si và a mettere lì nella vita; a volte cambiandola a volte passando quasi senza lasciare segno o memoria particolare.
Io stesso potrei trovare mille motivi per tornare e mille per non farlo, a volte basta un giorno, un minuto, un istante e un intero viaggio o addirittura una vita possono prendere una svolta.
Il diario di viaggio è qualcosa di intimo dove il viaggiatore si spoglia e mostra agli altri quello che attraversa nel suo cammino. Il suo è un punto di vista fazioso e di parte, tuttavia può suscitare emozioni forti e contrastanti, ma soprattutto desiderio di scoperta.
È proprio questo desiderio quello di cui vi voglio parlare, il desiderio che ci nasce dentro dopo aver visto un posto con gli occhi di qualcun’ altro. La voglia di partire per provare le stesse emozioni, vivere esperienze simili e visitare gli stessi luoghi.
Se tra le righe di questo diario troverete motivo di gioia, voglia di scoperta e nascerà in voi l’impulso di partire, spero che il vostro viaggio sia vero e profondo. Ma fatelo con il cuore sgombro e senza pretese, senza lasciarvi corrompere da questo o da altri racconti. Il bravo narratore può farci vedere qualsiasi cosa attraverso i suoi occhi, ma solo i nostri possono vedere ciò di cui ha bisogno la nostra anima e solo con lo spirito libero da pregiudizi e aspettative possiamo aprire il nostro cuore alle persone che incontreremo sul nostro cammino.
A questo proposito mi ritorna sempre in mente una frase che trovai su di una tessera telefonica la prima volta che feci un viaggio in Spagna “El mundo es del color con que se mira”
Buona Lettura.

Partenza

L’acre e pungente odore di cherosene penetra nelle narici, il rumore dei motori si fa più acuto. Una veloce e rumorosa rullata sulla pista e via!
Come amerebbe dire Kerouac, siamo di nuovo “On The Road”. Sfuggiti all’apatia quotidiana e alla routine, che ci spingono a sentirci assuefatti, a chiederci se valga la pena riprendere il viaggio. Il viaggio esteriore, alla scoperta di luoghi, culture o popoli. E quello interiore che arricchisce l’anima, la disseta e la nutre.
Ancora una volta pronti a immergerci in una nuova realtà, e come una spugna in un liquido ad assorbirne i contenuti, contribuendo a riempire la scatola vuota che siamo alla nascita e che per tutta la vita riempiamo; proprio come una spugna assorbe ciò che le sta attorno. Diventando così ciò che siamo.
Ancora un volta attratti fatalmente dal Centroamerica, dall’ aria che vi si respira, dai suoi suoni e dai suoi colori. Questa volta attratti dall’ estremo lembo di terra in confine con il Sud America, dove persino gli oceani si baciano nella loro diversità e nella loro grandezza, per mano dell’ uomo sì, ma per un istante così vicini.
In una parola, Panamà.

15/01/2006

Il primo impatto ha una forza d’urto dirompente. Su di un taxi guidato da un pazzo, tra slalom e sorpassi a destra, corriamo a velocità folle dall’aeroporto alla città. L’aria calda e umida ci si appiccica addosso. Dai finestrini abbassati, insieme al più completo caos tipico del Centroamerica e al rumore dei clacson che suonano ovunque e senza una ragione precisa, ci scorrono davanti luci e colori di grattacieli, di enormi cartelloni pubblicitari ai bordi della strada e di giganteschi centri commerciali.
Il taxi ci scarica davanti all’Hotel California, dove abbiamo una prenotazione. La stanza si rivela più piccola di quello che lasciavano trasparire le foto on-line, ma per l’uso che dobbiamo farne và più che bene. La grossa finestra scorrevole, che però è bloccata, lascia intravedere i grattacieli che si stagliano contro il cielo, e dal vecchio condizionatore a muro filtrano, quasi amplificati, i rumori della strada sottostante. Da questi, nonostante la stanchezza prenda in fretta il sopravvento, possiamo sentire che la città seppur più tranquilla resta viva per tutta la notte; accompagnati nel nostro sonno dal suonare incessante di clacson.

16/01/2005

Gli sporadici clacson notturni aumentano di intensità e la città va così svegliandosi. Noi ci mettiamo in cammino per la nostra prima colazione (in tutti i sensi). Veniamo fatalmente attratti da una specie di bar-gelateria, dove servendosi fai da te, assaggiamo alcuni dolci locali, frutta e un’ottimo succo naturale all’ananas. Facciamo un bel giro all’interno del supermercato adiacente e quello che più ci colpisce è la varietà e l’ordine maniacale nell’espozione dei prodotti.
Proseguiamo a piedi nella scoperta della città; quale metodo migliore per scoprire un paese se non immergersi nei luoghi e camminare per le strade?!
Dirigendoci verso Paitilla possiamo ammirare la baia, e purtroppo anche il pessimo odore lasciato dalla bassa marea. La camminata è piacevole tra mare, grattacieli e macchine che sfrecciano veloci. Cercando un internet point finiamo così all’interno di un centro commerciale a 5 piani, il Multicentro che a quest’ora è quasi deserto e ci sembra un pò eccessivo, come strana ci sembra l’abitudine di non mettere i prezzi nelle vetrine dei negozi.
Dopo aver mandato una mail a casa dall’hotel, andiamo a pranzo in un ristorante dietro l’angolo.
Il nostro primo impatto con il cibo Panameno non è male, anche se scopro solo quando il piatto arriva, che l’ingrediente che mi è stato venduto in modo un po’ evasivo come “una parte della mucca” è in realtà trippa!
I sapori sono decisi ma non eccessivi e possiamo dire, tutto sommato, di essere rimasti soddisfatti. La velocità del servizio e la presenza di uomini, d’affari ci fanno pensare che sia un locale utilizzato dai Panameni nella pausa pranzo.
Messo a tacere lo stomaco e in attesa delle 15.00 quando abbiamo appuntamento con Maria Grazia, l’autrice della guida in italiano “Panamà, il bacio degli oceani”, ci rimettiamo a camminare sul lungomare questa volta in direzione opposta.
Anche da questo lato la passeggiata è piacevole, ma purtroppo arrivati nei pressi del “mercado del marisco” ci infiliamo un po’ ingenuamente in un breve ma isolato passaggio pedonale. Alle due del pomeriggio, nella nostra più totale spensieratezza, veniamo avvicinati alle spalle e rapinati da un malvivente armato di coltello che, in evidente stato di alterazione, ci intima di buttare a terra tutto quello che abbiamo. Non volendo rischiare la pelle obbediamo e mentre ci allontaniamo, tra le sue parole ci sembra di capire qualcosa come “perdonatemi-scusatemi devo mangiare”.
Il caso vuole che dopo 10-15 secondi passi un poliziotto in moto che infilandosi nella via ci viene incontro. Neanche il tempo di fargli un cenno che parte a tutta verso il ladro. Ritornati sulla strada principale vediamo il ladro fuggire, ma senza le nostre cose in mano; evidentemente visto il poliziotto ha gettato tutto e si è dato alla fuga. In pochi minuti ci ritroviamo accerchiati dalla polizia, che qui gira con il fucile a pompa in spalla. Fortunatamente hanno recuperato tutte le nostre cose tranne i miei occhiali da sole. Veniamo caricati su di un pick-up e portati a poca distanza dove sull’asfalto ammanettato ritroviamo il nostro simpatico amico, e nelle quali tasche si trovano ancora i miei occhiali.
Inizia così una lunga trafila dove, dopo aver risposto per ore alle stesse domande ed essere saltati da un ufficio all’altro, arriviamo a fine giornata nell’ufficio del capo sezione “reati contro il patrimonio”. A dire il vero qui a Panama, come ci diranno anche in seguito, l’importanza di un’ufficio non sta tanto nell’arredamento o nelle dimensioni come potremmo immaginare, ma è data dalla temperatura. Più si sale di grado, più l’aria condizionata è forte e giunti a questo punto non esagero se dico che il maglione non guasterebbe!
Qui lo status-simbol americano dell’aria condizionata è arrivato anche fuori dagl’immensi centri commerciali semi deserti, ed è arrivato più forte che mai in questi uffici statali, posizionati lontano dalla zona commerciale-bancaria e così vicini ai quartieri degradati dove è realmente pericoloso addentrarsi anche di giorno, in uffici angusti dalle pareti spoglie e decadenti, arredati con scrivanie spartane e semplici.
Purtroppo pur facendoci capire più che bene non siamo in grado di scrivere in spagnolo, e giustamente per mandare in galera qualcuno è necessario un traduttore che garantisca sulle nostre parole. Così su due piedi contattiamo Maria Grazia che però sul momento è impegnata. La polizia ci comunica che verrà a prenderci l’indomani mattina in hotel dopo aver contattato, su nostro suggerimento, l’ambasciata italiana.
Possiamo dire a voce alta di essere stati fortunati, il caso ha voluto che un poliziotto passase pochi secondi dopo la rapina e recuperasse tutte le nostre cose. Qualcuno direbbe che “il caso è Dio quando non vuole lasciare la firma”. Non so in realtà chi o cosa sia stato, ma credo valga veramente la pena fargli un ringraziamento!
Passiamo una piacevole serata al ristorante, in compagnia di Maria Grazia e di un altro italiano che è qui da qualche giorno. Raccontiamo la nostra disavventura nei minimi particolari, devo dire tra l’incredulità e lo stupore, perché generalmente non è un paese così a rischio. Mangiando ottimo pesce alla griglia, juca e patacones per contorno, ci facciamo raccontare qualcosa di più su questo paese e su quello che ci aspetta nei prossimi 20 giorni. Ritornati in hotel l’altra piacevole sorpresa che ci aspetta è la nostra valigia grande, che nel frattempo è arrivata da Parigi dove era rimasta durante il nostro primo scalo!

17/01/2006

La giornata inizia male già dalla notte quando alle 6.00, per continure a dormire, devo mettermi i tappi per le orecchie!
Quando la polizia ci contatta le notizie non sono delle migliori, l’ambasciata infatti ha risposto che non può mandare nessuno! (ma non dovrebbero essere pagati proprio per queste situazioni???). Così, dopo esserci tirati su di morale con una colazione nel medesimo posto di ieri, contattiamo di nuovo Maria Grazia per la traduzione ma, dopo che ci eravamo già accordati per le 12.15, la polizia ci richiama per comunicarci che ha trovato un sacerdote italiano disposto ad aiutarci.
Disdetto l’intervento della nostra amica sfruttiamo l’ora libera per andare al terminal di Albrook ad informarci sul noleggio auto. Il prezzo ci sembra eccessivo, infatti la nostra idea di lasciare la macchina a David ci costerebbe quasi 200$ in più sul totale!
Dopo un pranzo fast-food, a base di riso e pollo arrosto, ritorniamo in hotel dove alle 12.30 la polizia viene a prenderci.
All’una e venti finalmente siamo tutti riuniti nell’ufficio di padre Michele Giorgio della parrocchia di Don Bosco. Anche qui l’aria condizionata è al massimo e la scena, con gli ispettori armati di macchina da scrivere, è da film comico. Riusciamo a liberarci per le 14.30. Nel frattempo fuori si è scatenato un violento acquazzone, l’aria si è fatta ancora più calda e umida ed è riempita dallo scrosciare dell’acqua che cade con una forza impressionante. In non più di mezz’ora riappare il sole e intanto noi apprendiamo che fino a domani non potremo riavere le cose che ci erano state sottratte. Il ladro in compenso dovrà scontare 5 anni di prigione. Anche se, visto che è appena uscito da 20 giorni, penso ci sia abituato.
I taxisti qui come in tanti altri posti nel mondo sono una delle fonti più autorevoli per conoscere le cose più disparate, anche se a Panamà a volte siete voi a dovergli insegnare la strada! Qui hanno molta voglia di parlare, purtroppo spesso quando sanno che siamo italiani portano il discorso sul calcio. Con l’aiuto di uno di questi taxi riusciamo a trovare l’agenzia viaggi consigliataci da Maria Grazia e a prenotare il volo e 3 notti a Ukuptupu nell’arcipelago di San Blas per il 27-28-29 Gennaio.
Dopo una bella doccia rivitalizzante alle 17.30 usciamo e ci facciamo portare al Multiplaza, altro enorme centro commerciale stile americano. Il centro è su 4 piani e all’ultimo si trova la zona ristorante.
Alle 8.00 torniamo in via Argentina per la cena e questa volta scegliamo il ristorante “La casa della Paella” dove assaggiamo cocktail di gamberi, ceviche di corvina e corvina alla griglia.

18/01/2006

Anche oggi iniziamo male, la polizia che doveva venire a prenderci alle 8.00 si presenta alle 9.30 passate dopo avergli fatto telefonare un paio di volte! Dopo aver percorso senza meta mezza città ci portano negli uffici della polizia tecnica giudiziaria, dove un perito inizia a valutare le nostre cose. A dire il vero spara prezzi talmente a caso, che per alcuni oggetti, mi spinge a offrirli in vendita scatenendo una risata generale, perito a parte ovviamente.
Approfittiamo della situazione per fare conversazione con Lilia, la poliziotta che parla italiano e apprendiamo così che ha vissuto 12 anni in italia e che ha molta nostalgia del nostro paese, in particolar modo del cibo e di Roma.
A perizia terminata ci portano in una stanza, fortunatamente senza aria condizionata, dove in compagnia di Lilia e di altre 2 colleghe attendiamo che trovino un auto per riportarci indietro. Una cosa che per noi può sembrare incomprensibile, ma che qui è normalissima, è che negli uffici la gente ha la TV!!
Nonostante la buona volontà non ci sono auto disponibili, così dopo esserci scambiati n°di tel e indirizzi mail ci facciamo accompagnare a prendere un taxi. La cosa molto bella è che qui, rapinatori a parte, sono tutti molto disponibili e hanno una gran voglia di conversare e di aiutarci.
Alle 13.30 finalmente liberi e con tutte le nostre cose andiamo subito ad Albrook, dove prenotiamo 2 posti sul bus delle 20.00 in partenza per Bocas del Toro. Saltiamo sul primo taxi e ci facciamo portare alle chiuse di Miraflores ma purtroppo la prima nave passa solamente tra un’ora e trenta e così ne apprifittiamo per farci portare al parco Summit, che si trova a pochi chilometri di distanza verso Colon.
L’ingresso del parco costa la modica cifra di 1$ e si possono ammirare giaguari, linci ,tapiri, scimmie, uccelli e soprattutto un coppia di Aquile Arpia l’animale simbolo di Panamà. Dopo una breve ma intensa visita ci facciamo riportare alle chiuse dove arriviamo giusto in tempo per ammirare il passaggio di un enorme nave battente bandiera cinese.Lo speaker comunica tra le tante cose che il costo di questo transito è di 190.000$, una bella cifretta per passare in mezzo a un paio di chiuse, non credete? Ovviamente non ha specificato a chi va tutto questo denaro, ma visto il gran numero di navi e lo stato del paese che seppur dignitoso non è certo tra i più ricchi, immagino che una bella fetta se la intaschino gli USA.
Visto che non è poi così tardi facciamo in tempo ad andare su di un mirador per fare un paio di foto al “Ponte De Las Americas” che per molto tempo è stato l’unica cosa che univa le Americhe dopo la realizzazione del canale.
Tornati ad Albrook nell’ attesa del bus facciamo un giro nel centro commerciale che si trova dall’altra parte della strada. Alle 9.20 dopo un po’ di conversazione con una simpatica signora colombiana, che insieme al suo compagno americano, aspettavano il bus insieme a noi, finalmente partiamo.
Il viaggio si rivelerà terrificante: aria condizionata a tutta, guida spericolata, più di 30 minuti fermi a un posto di blocco della narcotici dove alcuni passeggeri sono stati invitati ad aprire le valige e infine pioggia battente e portiera aperta per più di metà percorso!

19/01/2006

Alle 6.30 del mattino finalmente arriviamo ad Almirante. Percorriamo in taxi il breve tratto che ci porta alla lancha. La barca dapprima lentamente poi a tutta velocità esce dal piccolo porto. Tra baracche e isolotti di mangrovie ci dirigiamo verso Isla Colon, sotto un cielo denso di grigie nubi cariche d’acqua. Il sole dell’alba debole, e basso all’orizzonte, lascia trasparire qualche raggio. Corriamo veloci accompagnati da sbuffi d’acqua e da un riflesso grigio-giallognolo che appare quasi irreale. In circa 20 minuti arriviamo a Bocas del Toro; costruzioni in stile caraibico a palafitta si affacciano direttamente sull’acqua, e come una collana irregolare cingono la costa. Appena sbarcati arriva il diluvio!
Attendiamo un po’ irritati che smetta, durerà circa 20 minuti, poi ci mettiamo in cerca di alloggio. Dopo aver chiesto invano, a causa dei prezzi altissimi o della mancaza di camere libere, con l’aiuto di Gustavo un ragazzo del luogo che si dimostra molto gentile, (anche se con il fine di convicerci a scegliere la sua barca, quando tempo permettendo, andremo a fare il giro dell’arcipelago), troviamo posto all’ hotel “Las Brisas”.
La camera sarà pronta per le 10.30 così nel frattempo facciamo colazione, frutta fresca con succo naturale di ananas e arancio. Inutile dire che queste colazioni sono una delle parti più indimenticabili del viaggio. Intanto è sbucato uno splendido sole e la giornata sembra volgere al meglio.
Purtroppo la fortuna ci volta le spalle ancora una volta! Alle 10.30 apprendiamo di dover attendere ancora perché c’è stato l’intervento della disinfestazione contro il dengue e la malaria! Non ci resta che un’attesa obbligata sulla terrazza a palafitta che si trova sul retro dell’hotel e dove il sole ci regala magnifici riflessi di luce e infonde una grande tranquillità.
Alle 12.30 possiamo finalmente entrare in camera, anche se l’odore del fumo che è appena stato sparso ci accompagnerà per tutto il soggiorno. Dopo una doccia ci mettiamo in moto verso Playa Istmito a pochi km dal pueblo. Uscendo da un piccolo negozio dove abbiamo comprato qualcosa da mangiare ci si avvicina un grazioso bambino di pelle scura. Dalla faccia sembra proprio avere fame così gli offro un pezzo di quello che sto mangiando, lui ringrazia e si mette in cammino nella nostra stessa direzione. Salutato Josuè, questo era il suo nome, dopo qualche centinaio di metri ci si avvicina un ragazzo panameno che, dopo essersi presentato e fatto quattro chiacchere, si congeda dicendoci che se abbiamo sete lui ha un bar li vicino………..è proprio vero che la pubblicità e l’anima del commercio!
La spiaggia non è niente di speciale, è piena di detriti che il mare giungendo a riva con forti onde deposita sul bagnasciuga. Trascorriamo un paio d’ore cullati dal rumore del mare e riprendiamo la via di casa.
Tutto sommato possiamo guardare la giornata con occhio ottimistico; nonostante questo sia uno dei luoghi più piovosi della terra l’acquazzone iniziale ha lasciato il posto ad uno splendido sole con il cielo quasi terso. Con birra e popcorn, dalla terrazza ammiriamo il mare nei riflessi di luce della sera che sempre più soffusa lascia spazio alla notte.
Andiamo a cena al risto-hotel “El Limbo”, dove immersi in una romantica atmosfera, mangiamo un’ottima zuppa di pesce e due filetti di pescado con riso e juca.

20/01/2006

La giornata sembra iniziare male, già nel dormiveglia si sentono forti scrosci di pioggia. Il bello è che qui quando passa una nuvola lascia cadere una quantità indescrivibile d’acqua e magari dopo 10 minuti c’è il sole e un magnifico cielo azzurro!!
Ingenuamente usciamo senza portare l’impermeabile, e mentre consumiamo la solita colazione a base di frutta e crepes, inizia a diluviare! La nostra colazione oggi però viene rallegrata da due minuscoli colibrì che vengno a bere a pochi metri da noi. Nel frattempo, avendo smesso di piovere, ripartiamo verso l’hotel ma purtroppo proprio mentre ci fermiamo a contrattare il giro in barca con Gustavo ricomincia.
L’appuntamento è per le 9.30 ma ovviamente come da tradizione panamena fino alle 10.00 non si vede nessuno. Ci prelevano direttamente dalla terrazza dell’hotel, io finisco nel posto a prua e visto che proprio mentre partiamo ricomincia a piovere prendo una bella lavata. Ci dirigiamo verso una baia di acque profonde, dove dovremmo vedere i delfini, fortunatamente per la terza-quarta volta nell’arco di un’ora ritorna il sole. Mentre la lancha scivola veloce sul pelo dell’ acqua contornati da isolotti di mangrovie arriviamo a destinazione. L’attesa non è molto lunga, e dopo poco scorgiamo le pinne di 2 delfini che nuotano in superficie. Gli avvistamenti si susseguono per una mezz’ora dopodiché riprendiamo il cammino in direzione Coral Bay. Attracchiamo nei pressi di un bar interamente a palafitta sull’acqua dove vengono portati tutti i turisti; qui si può stare tranquillamente distesi sul pontile a prendere il sole oppure tuffarsi per fare snorkeling nelle splendide acque verde smeraldo. Mentre il sole gioca a nascondino con le nuvole facciamo un lungo bagno; l’acqua è quasi tiepida, l’incantevole fondale corallino e la moltitudine di pesci fanno di questo luogo una tranquilla e imperdibile meta. Il sole di mezzogiorno, che finalmente sbuca dalle nuvole, è veramente forte e nonostante la crema protezione 20 ho la sensazione che qualche parte del mio corpo non sia già più d’accordo con questa esposizione.
Dopo la splendida pausa, dove l’autista della lancha si è scolato diverse birre, alle 13.30 ci dirigiamo verso un piacevole e deserto ristorante sul quale, all’andata, avevamo fatto una breve sosta per scegliere il menu. Essendoci portati del cibo al sacco ci sediamo in disparte sotto a una delle tettoie in foglia di palma, e ci gustiamo la brezza del mare nella più completa tranquillità. La cosa più sorprendente qui è la natura forte e rigogliosa; isolotti e scogli completamente ricoperti di vegetazione e mangrovie fino al mare, quasi a voler proteggere e celare queste terre.
Ci avviamo verso la conclusione della giornata, l’ultima destinazione è “Playa Rana Roja” e dopo essere scesi sul versante interno dell’isola paghiamo 1$ per entrare. L’ isola è un parco dove la rana viene studiata e protetta nel suo ambiante naturale e il contributo dovrebbe servire per finanziarne la sua sopravvivenza. Durante il tragitto, che non dura più di 5 minuti, oltre a prendere l’ennesimo acquazzone abbiamo la fortuna di vedere anche la famosa rana la cui dimensione non è più grossa di un unghia! La spiaggia si affaccia sull’ oceano e le onde sono alte e potenti. Qui l’ Atlantico si infrange con tutta la sua forza e la corrente creata dalle onde mi trascina per metri con la stessa facilità che avrebbe il vento a portare un foglio di carta. Dopo una breve passeggiata sul bagnasciuga si è già fatta ora di ritornare; facciamo un breve passaggio in mare aperto dove la lancha viene sballottata dalle onde e infine alle 16.30 siamo di nuovo a Bocas.
Per la cena scegliamo un locale molto tipico la cui atmosfera ci evoca i neanche tanto lontani tempi dei pirati. Nel tavolo vicino al nostro una strana donna, seduta al tavolo con due tipi dall’aspetto inglese, ha sulle spalle due pappagalli!
Mangiamo una ceviche mista e una di polpo come antipasto, un filetto di pesce e alla fine ci concediamo anche gelato, pinacolada e cuba libre!
Ancora una volta restiamo stupiti delle condizioni meteo, durante il tragitto a piedi c’era un magnifico cielo stellato e pochi minuti dopo esserci seduti veniamo colti di sorpresa da violenti scrosci d’acqua!
Ci fermiamo per comprare un paio di lattine al supermercato e andiamo a goderci la tranquillità della notte nella terrazza dell’hotel. A farci da contorno le luci delle palafitte sulle isole vicine che “come lucciole lontane nella notte danno dimensione al nostro sguardo, altrimenti cieco contro il muro del buio, mentre l’orecchio è cullato in un’eterna ninna nanna dal lontano rumore delle onde che si infrangono”.

21/01/2006

Finalmente la giornata sembra iniziare bene, il cielo del mattino è semi-aperto e per il terzo giorno consecutivo “rischiamo” di prendere bel tempo. Facciamo una colazione più che abbondante a base di frutta, pancake e succo d’ananas allo yogurt, poi partiamo alla volta di Boca del Drago. La strada che attraversa l’isola è avvolta dalla jungla, ma purtroppo nei 30 minuti di sali e scendi non avvistiamo nessun animale selvaggio. L’abitato di Boca del Drago è formato da poche case, un paio di ristoranti e da una baia molto tranquilla proprio di fronte a Isla Pajaros, un piccolo isolotto abitato solo dagli uccelli. Il mare è molto calmo e anche per questo il paese è praticamente privo di spiagga, se non pochi metri tra le palme.
Dopo esserci posizionati, vicino ad un’abitazione e ad un pontile, facciamo una lunga passeggiata lungo la sottile lingua di costa, tra le palme che si spingono fino alla riva. Provo a fare un bagno, ma le onde anche se piccole rendono l’acqua un po’ torbida, così decidiamo di ritornare verso la nostra postazione dove l’acqua sembra decisamente più chiara, anche se il fondo è però in gran parte ricoperto dalle alghe. Mentre procedo lentamente tra le chiazze chiare, dove si itravede il fondo, sento un dolore fortissimo e acuto al piede sinistro e tirandolo fuori dall’acqua vedo che sanguina come un rubinetto aperto!
Mi fiondo letteralmente sulla spiaggia tra imprecazioni e panico, tentando di tamponare la ferita con dei fazzoletti di carta.Nel frattempo alcuni turisti sono andati a chiamare una persona del luogo che dicono sia infermiera. Quando arriva scruta la ferita e sentenzia che probabilmente è stato un granchio, mentre ritorna da dove è venuta per prendere i ferri del mestiere io mi trascino all’ombra anche perché, tra il caldo e lo sbalzo di pressione dovuto allo spavento, non vorrei cascare in terra svenuto.
Quando l’infermiera ritorna mi fa sedere su di una sedia, mi inietta una leggera anestesia locale e procede a darmi 2 punti di sutura. Nella casa lì vicino c’era una specie di resort dove alcuni americani ubriachi continuavano a bere da ore; il dolore è fortissimo, a tratti insopportabile, e così una ragazza della casa mi offre un anti-dolorifico. Passerò poi un paio d’ore sotto al loro porticato in attesa che il taxi torni a prenderci per il ritorno.
Se non fosse per il dolore lo spettacolo sarebbe divino; seduti all’ombra davanti ad una splendida baia con il mare dai riflessi di mille colori e circondati da una rigogliosa vegetazione.
Finalmente arrivano le 16.00 e con esse il taxi. Dopo aver ringraziato di nuovo tutti, mi trascino saltellando fino alla macchina, destando non poca curiosità tra i presenti. Arrivati a Bocas ci facciamo lasciare all’ospedale dove, dopo una non lunga ma triste attesa, un giovane dottore mi visita e mi prescrive una pomata e un antibiotico per evitare il rischio di infezione.
Fortunatamente il dolore d’improvviso cessa di colpo e rimane solo un piccolo fastidio, misteri del corpo umano!
Per la cena decidiamo di ritornare al ristorante di ieri, che questa sera sembra particolarmente affollato, assaggiamo un risotto ai frutti di mare e visto che il pescado lo cucinano solo fritto optiamo di nuovo per il filetto.
Il dopo cena lo trascorriamo di nuovo in terrazza a sorseggiare una bella birra fresca e a goderci la pace, la tranquillità e lo spettacolo che la notte offre in questo angolo di caribe.

22/01/2006

Anche questa mattina il cielo è velato, ma non ci importa visto che dopo la solita ottima e abbondante colazione al “Pargo Rojo” partiremo per Almirante. La lancha parte dopo una breve attesa; le costruzioni a palafitta ci scorrono davanti dapprima lentamente poi sempre più velocemente e la barca inizia a saltellare a forte velocità sull’acqua. Salutiamo con un pensiero questi 3 giorni un po’ movimentati e, in una ventina di minuti, dove ci scorrono davanti mangrovie e baracche nascoste tra la vegetazione, siamo di nuovo sulla terra ferma.
Veniamo subito presi d’assalto dai bambini che tentano in tutti i modi di portarci le valigie per ricevere qualche soldo, ma nonostante i nostri rifiuti non riusciamo a respingerli tutti e dovremo scucire qualche moneta per il servizio!
Dopo un attesa di 15-20 minuti in un caldo torrido, partiamo finalmente con direzione David. Il viaggio appare subito più duro del previsto e mi fa ritornare alla memoria un precedente viaggio sui chicken-bus in Guatemala. La strada è tutta curve e saliscendi, l’autista corre come un folle e per finire facciamo continue fermate per caricare e scaricare passeggeri!
Per un’ora e trenta la strada corre tra la montagna e il mare, la vegetazione ai bordi è lussureggiante e a tratti impenetrabile, qualche casa di legno compare qua e là senza un ordine preciso di aggregazione e per tutto il tempo sul minibus si alternano i passeggeri più disparati: indios, lavoratori, suonatori, donne con 7-8 bambini. Qualcuno è sporco e sudato, altri vestiti a festa, qui ci appare normale tutto e il contrario di tutto!
Facciamo una sosta presso il cruzeiro di Chiriqui Grande per il pranzo, assaggiamo pollo con verdure e riso rimanendone piacevolmente colpiti, ma la pausa dura talmente poco che per non lasciare niente dobbiamo ingozzarci! Il paesaggio ora si è fatto pianeggiante, prima attraversiamo fiumi e piantagioni di ananas quasi a perdita d’occhio, poi riprendiamo a salire su per le ripide strade della coedigliera central. L’aria si fa più fresca e per 30-40 minuti non facciamo più soste nemmeno per caricare o scaricare passeggeri. Il paesaggio si fa sempre più bello, alte montagne ricoperte di folta vegetazione e nubi, verdi vallate si susseguono una all’altra fino a che, poco prima di David, ritorniamo in pianura dove la strada costeggia verdi pascoli interrotti solamente da graziose e basse casette.
La stazione di David ci appare un gran casino, d’altronde è domenica!
Saltiamo velocemente su di un altro pittoresco bus e in 60 minuti arriviamo finalmente a Boquete, il paese dei fiori.
Dopo una breve e inutile faticata per le strade del paese in cerca di alloggio, decidiamo di utilizzare il metodo più sicuro: chiedere a un taxista di portarci in cerca di un hotel pulito ed economico. Troviamo posto all’hotel “Rebequet”, mentre un breve e violento acquazzone saluta il nostro ingresso.
Oggi è l’ultimo giorno della famosa fiera internazionale dei fiori, questo spiega anche la fila per prendere il bus che portava qui, e noi non vogliamo certo perdercela anche perché già dalla camera si sente una gran confusione provenire dalla festa!
Alle 19.30 siamo già fuori salutati da un magnifico cielo stellato, pronti a immergerci tra la folla e ad assaporare odori e sensazioni autentiche. La festa è un brulicare di gente, bancarelle, chioschi, stand e musica, dopo un bel giro tra le splendide aiuole andiamo a fare la cena più tipica del viaggio, birra Panamà e spiedini di maiale. La cosa più bella è che non c’è niente di turistico, questo è praticamente un tuffo nella vita e nel folklore locale: balli, canti, prodotti locali, caffè, il tutto contornato da splendidi fiori.
Dopo esserci sprecati negli acquisti riprendiamo la via di casa; il camminamento in assi di legno al lato del ponte che attraversa il Rio Caldera ci riporta verso l’hotel, dove il vento continuerà a portarci ancora a lungo i rumori della festa.

23/03/2006

Dalla finestra filtra qualche raggio di sole ed il canto degli uccelli. La giornata sembra limpida, il cielo è quasi totalmente sgombro dalle nubi e soffia una leggera brezza di monte. Andiamo a fare colazione al “Punto de Encuentro”, e nel suo bel giardino all’aperto mangiamo frutta, pancake, marmellata, il tutto con il solito caffè nero e succo di frutta.
Affittiamo due biciclette e dopo aver acquistato qualcosa da sgranocchiare ci dirigiamo verso Bajo Mono dove dovrebbe iniziare il sentiero de Los Quetzales. La strada è ripida e il sole si fa decisamente sentire. Facciamo molte pause per riposare e fare foto, dopo quasi 2 ore arriviamo ad una cascata che si trova a circa 1 km dall’inizio del sentiero, ma vista la fatica e il mio piede ancora gonfio decidiamo che per oggi può bastare. Durante il tragitto attraversiamo splendide vallate con ruscelli, alte montagne che giocano a nascondiono con le nubi, fiori e piantagioni di caffè. Incontriamo anche molti indios per la strada e al lavoro nelle piantagioni e gruppi di bambini incuriositi che appena vinto l’iniziale timore saltano e sorridono al nostro passaggio.
Dopo una pausa e alcune foto, ci lanciamo nella veloce discesa che ci riporterà a Boquete e durante il tragitto un bambino, che all’andata si era mostrato molto incuriosito, si getta praticamente in mezzo alla strada per salutarmi. Così mi fermo per salutarlo e sorridegli, mentre al di là della rete i suoi fratelli e sorelle osservano divertiti.
Il pueblo di Boquete si trova in una splendida valle che offre ottimi scorci e tranquillità, dove spesso anche in assenza di nubi, una pioggerellina fine trasportata dal vento che raccoglie l’umidità delle cime più alte e la sparge per tutto il suo cammino, accompagna le giornate rinfrescandole. Ritornati in hotel facciamo un po’ di conversazione con il prorpietario, un italiano che venuto qui tanti anni fa per costruire una diga, (sulla quale siamo passati tra Chiriqui Grande e David), ha finito per sposare una panamena come tutti e 35 i suoi compagni di lavoro! Ma l’unica differenza, come ci racconta, è che lui ha sposato l’unica che non ha voluto abbandonare il suo paese.
Per la cena decidiamo di andare al ristorante che si trova dopo il ponte sul Rio Caldera; e pensare che solo 24 ore fa qui era un gran casino di gente, musica e colori, invece ora c’è giusto la luce per vedere dove mettiamo i piedi! Il ristorante è gestito da americani e dopo tanti giorni di pesce decidiamo di mangiare un bel filetto di carne e di innaffiarlo con del vino rosso. La carne è discreta, il vino si lascia bere e dopo aver assaggiato anche un gustoso dolce a base di cocco e vaniglia riprendiamo la via di casa. Il vento soffia ancora forte e fastidioso e ci accompagnerà per tutta la notte sibilando.

24/01/2006

Dopo la solita abbondante colazione è giunta l’ora di riprendere il viaggio. Lentamente e con il sole che sbatte sui vetri, lasciamo la valle escondida di Boquete e ritroviamo la più caotica David. La confusione qui a Panamà è talmente precisa che sembra programmata.....prenotiamo il bus delle 12.00, che però ci dicono partirà quando è pieno!! Ci attendono 5-6 ore di viaggio per arrivare al cruzeiro che porta a El Valle de Antòn.
In un ripido e lento sali scendi attraversiamo sterminate valli ricoperte di vegetazione, grigie nubi che ricoprono le cime più alte, come a voler nascondere e preservare questa natura spesso incontaminata, e ancora fiumi e torrenti dalle acque limpide e spumeggianti. Poi verso Santiago pianure dalla vegetazione più rada prendono il posto delle valli, alberi dal grande cappello e palme, come a voler offrire riparo dal sole cocente, appaiono tra l’erba e la fitta ma bassa vegetazione.
L’unica strada che attraversa il paese è resa ancor più lenta dai lavori di ampliamento che si protraggono per centinaia di km. Finalmente dopo 5 ore e 30 l’autobus ci scarica ad un incrocio, la cosa che ancora una volta ci sorprende è che dopo 30 secondi arriva un minibus per El Valle!
Da qui mancano circa 20 km, la strada sale da prima lentamente poi in maniera più decisa. Il paesaggio è più interessante di quello che ci appariva tra David e Boquete. Il bus continua a salire tra le cime brulle spazzate dal vento, fino a quando dopo una breve discesa arriviamo a El Valle il quale si trova nel cratere di un vecchio vulcano inattivo. Basse e colorate case disseminate senza una logica lungo la strada ci accompagnano, fortunatamente l’autista ci scarica proprio dove volevamo andare e pernottiamo al Don Pepe. Ormai è il tramonto, ma il paesaggio sembra molto bello, irti colli ora brulli ora completamente ricoperti di vegetazione ci cingono tutt’intorno. Ceniamo, ovviamente a base di pesce, all’ omonimo ristorante dell’ hotel, anche se non rispecchia il massimo dell’igene da vedere, ma comunque non abbiamo molta scelta!

25/01/2006

questa mattina abbiamo la pessima idea di mutare le nostre abitudini alimentari e facciamo colazione con biscotti e succhi di frutta del supermercato; erano decisamente meglio frutta e pancake!
Anche se siamo in montagna la zona che dobbiamo visitare è più o meno pianeggiante, così affittiamo 2 biciclette e ci dirigiamo verso Chorro el Macho. La zona è proprio sotto ad una delle vette più alte, e le nubi che si addensano su di essa coprono il cielo che ora è tutto grigio. Nei dintorni della cascata si trova anche il Canopy Adventure che però non sembra valere il prezzo del biglietto: 42$ per quattro salti tra gli alberi con partenza e arrivo da terra.
Ci accontentiamo di fare la passeggiata nel sentiero che porta alla cascata, 2,5$ con guida per 10 minuti di cammino.
Dopo la breve e veloce discesa imbocchiamo il sentiero per vedere la Pietra Pintada, anche se i disegni oltre che strani appaiono persino ritoccati! Dopo la breve escursione prendiamo la strada per Chorro las Molas, che però si dimostra più impervia e lunga del previsto, cosi facciamo retromarcia per andare alle acque termali.
El Valle è un paese di belle case basse con giardini curati e pieni di fiori, ma non ha un vero e proprio centro, diciamo che è sparpagliato per questa piccola valle di 5-6 Km2 creatasi nel vecchio cratere vulcanico. La zona delle terme è caratterizzata da belle ville (probabilmente di qualche Gringo) e si può ammirare la India Dormida sgombra di nubi che staglia contro il cielo azzurro.
Le terme non sono niente in tutto (1$ l’ingresso), facciamo un giro e ci sediamo all’ombra per riposare un po’ prima di andare a pranzo. Optiamo per il “Mar de Plata”, che in realtà è a fianco del Don Pepe e pranziamo con risotto ai vegetali e pollo alla crolla. Il servizio è un po’ lento rispetto allo standard ma il cibo è buono come sempre.
La prima meta dopo aver mangiato sono gli alberi quadrati. Fatichiamo un po’ sia per la salita che per trovarli ma alla fine riusciamo nell’intento; sono alberi che appartengono alla famiglia delle bombacee e hanno il tronco leggermente squadrato.
L’ora si è fatta tarda e riscendiamo velocemente verso il paese per fare visita al giardino zoologico “El Nisperio” dove si possono ammirare alcuni esemplari di Rana Dorada. Oltre agli animali ci sono anche molti tipi di piante e vedere le rane dorate in gabbia non è certo emozionante come è stato vedere quelle rosse a Bocas, ma vale comunque la visitarlo.
Dopo aver riconsegnato le biciclette facciamo un giro per i negozi di artigianato che però vendono a prezzi eccessivamente turistici!
La sera per cena decidiamo di provare il ristorante “Libranda” a un centinaio di metri dal nostro hotel. Linda mangia un filetto di corvina all’Aijllo mentre io punto decisamente sulla carne con un filetto alla brace. Il dopo cena è dedicato a preparare le valige in vista di San Blas, domani infatti ne dovremo lasciare 2 al deposito bagagli di Albrook.
Ci addormentiamo mentre fuori il vento sibila forte tra le finestre.

26/01/2006

La musica al mattino non è cambiata, ancora vento! Facciamo colazione al ristorante dell’ hotel con pancake e frutta, poi ci mettiamo in attesa di un bus per Panamà, che dopo 10-15 minuti arriva.
Lentamente ci lasciamo alle spalle le montagne, il vento e l’aria fresca. Mentre la strada scende il paesaggio si fa sempre più brullo e piatto, e in circa 50 minuti, tra una fermata e l’altra, arriviamo a Las Uvas, dove imbocchiamo la panamericana che tra paesini, pendii e pioggia in poco più di un’ora ci riporta ad Albrook.
Lasciamo le valigie al deposito e senza “zavorre” andiamo al centro commerciale per il pranzo e per qualche acquisto.
Verso le 3 dopo aver telefonato a Lilia (la nostra amica poliziotta) e preso appuntamento per le 5, andiamo in cerca di un hotel dove dormire. Il California e il Montreal sono pieni, così su consiglio di un taxista finiamo al Latino che si trova un po’ più defilato dalla zona bancaria ma è anche più economico.
Senza perdere tempo ci facciamo portare alla Calzada de los Amadores,e il taxista, che scopriremo di origini cubane, ci attacca un gancio incredibile. Dopo averci scaricato in fondo alla strada iniziamo a risalire a piedi verso la città. La vista è molto suggestiva e vale sicuramente il tragitto; sulla destra possiamo ammirare la città con la sua skyline stile manhattan, mentre sulla sinistra si apre l’imbocco del canale di Panama e del Ponte de las Americas. Quando siamo a poco più di metà camminata ecco che in lontananza riappare il nostro amico taxista tornato a riprenderci per portarci all’appuntamento con Lilia.
Mentre attendiamo la nostra amica davanti ai cancelli della polizia giudiziaria appare anche il suo collega che ha seguito il nostro caso di rapina, l’investigatore J.A.Cazorla. Lo salutiamo calorosamente e gli raccontiamo la disavventura del cangrejo; lui sembra contento di vederci e dopo un rimprovero scherzoso perché non gli abbiamo mandato una mail ci dice che per loro l’amicizia è molto importante. Mentre aspettiamo il bus, parlando, gli dico che sto cercando una camicia tipica dell’interior e lui si offre di regalarmela facendomela avere tramite Lilia.
Prendiamo il nostro primo bus tipicamente Panameno e andiamo in Plaza 5 de Mayo dove ci sono alcune bancarelle per turisti. Poi sempre in bus attraversando il malfamato Chorillo, Lilia ci accompagna in una clinica dove dovrebbero togliermi i punti; dico dovrebbero perché la dottoressa preferisce aspettare qualche giorno in più.
Salutiamo la nostra amica e ci diamo appuntamento per il giorno 2 quando promettiamo di portarla a cena fuori come ringraziamento per l’aiuto ricevuto. Ci fermiamo al supermercato dove compreremo acqua e biscotti in modo da poter integrare i pasti che faremo a San Blas i prossimi giorni; ci hanno infatti detto che principalmente si mangia pesce.
La cena ancora una volta la consumiamo al Trapiche dove mangio un ottimo Pargo Fritto.

27/01/2006

Inutile dire che la sveglia alle 4 del mattino è un trauma incredibile, alle 4,30 Rafael (il titolare dell’agenzia “Conozca Panamà Primero” a cui ci siamo affidati per il volo interno) è già nella hall che ci attende per portarci all’aeroporto. Fortunatamente abbiamo lasciato delle valigie al deposito perché nonostante tutto abbiamo a bordo 70 lb contro le 50 che avremmo potuto portare (sinceramente credevo fossero kg).
Come carta d’imbarco ci danno una tavoletta di plastica colorata, dove il colore sta a indicare il volo sul quale saremo imbarcati!!
Dopo aver atteso a lungo sulla pista che a “El Porvenir” sorgesse il sole per avere informazioni sulla visibilità, il piccolo aereo da 20 posti prende quota. Lo spettacolo su Panamà City illuminata è stupendo ma purtroppo il volo, a causa delle nuvole e delle forti piogge, si rivela un po’ turbolento (confesso che per qualche attimo ho temuto il peggio). Immaginate un aereoplanino di quelle dimensioni sbattuto nella tempesta, in certi momenti l’acqua era talmente tanta che sembrava di avere un fiume sul vetro anteriore (sì perché ovviamente si vedevano i piloti e tutto quello che facevano!)
Dopo 30 minuti di volo iniziamo a scendere, in lontananza si intravede una pista e mentre l’aereo continua ad ondeggiare per il forte vento facciamo una picchiata. La pista è cortissima e appena toccato il suolo un pilota si occupa di frenare a più non posso mentre l’altro provvede a mettere i motori indietro tutta!!
Appena fermi saltiamo a terra felici di averla scampata, ma purtroppo il primo indios Kuna con cui abbiamo contatto ci informa che la nostra fermata è la prossima! Fermata?? La prossima?! Apprendiamo così che qui è un po’ come prendere l’autobus: si parte da Panama City, si fa il giro delle isolette caricando e scaricando, e si ritorna indietro.
In pochi minuti nuovo decollo e nuova picchiata sulla pista e questa volta finalmente siamo a El Porvenir. L’ aereo viene di nuovo assalito dai Kuna Yala, che quasi si fanno decapitare dalle eliche pur di essere i primi a prendere i pacchi spediti dalla terra ferma con generi di prima necessità e non. Saliamo sul cayuco e in 5 minuti arriviamo ad Ukuptupu (Isla Arena) dove alloggeremo per 3 notti. L’isola è interamente occupata dalle costruzioni a palafitta che ci ospiteranno e definirle spartane è più che ottimistico: il vento soffia forte attraverso le pareti costruite con canne di bambù e i pavimenti oltre che essere vista mare probabilmente non vengono puliti da quando li hanno messi lì………per non parlare dei bagni!
Ma anche questo è il bello del viaggio e di poter visitare posti non intaccati dal turismo di massa; anche se non credo che dare una spazzata al pavimento rovinerebbe l’ambiente o l’atmosfera!
Nel frattempo, dopo un inizio con cielo piuttosto nuvoloso, è uscito il sole. Facciamo la nostra prima colazione a San Blas, non so se definirla proprio tipica: wurstel e uova fritte?!
Superato il primo pugno allo stomaco ci cambiamo e partiamo alla volta di Cartì. Il mare è molto mosso e ondeggiamo fortemente per 50 minuti. Appena sbarcati ci portano a visitare il museo della cultura Kuna.
Non lasciatevi ingannare dalla parola museo in realtà è una capanna 3x3 con due panche in legno e i muri tappezzati di molas e altre cose. Dopo averci fatto sedere ci aspetta un’ ora di lezione fatta da un’ omino buffo che alterna le spiegazioni in spagnolo a quelle in inglese, alla fine delle quali ci spilla 3$ e ci porta a fare il giro dell’isola: 10 minuti a piedi.
Finalmente ripartiamo alla volta di Isla Aguja, ora navighiamo contro vento e l’imbarcazione saltando nell’acqua ci schizza un po’. L’isola è stupenda, sopra vi è solo un abitazione e il mare turchese che la cinge è qualcosa di meraviglioso e indimenticabile. Facciamo un bel bagno e molte foto, ma purtroppo le nuvole riprendono presto il posto del sole. così dopo aver gustato una deliziosa pipa (noce di cocco da bere colta dalla pianta) e salutato gli abitanti dell’isola riprendiamo il mare verso casa.
Qui inizia la parte più dura della giornata, tutto il percorso è contro vento e a tratti piove forte. Fortunatamente ci eravamo portati gli impermeabili, più che altro per il freddo, infatti ogni 5 secondi al beccheggio della barca ci arriva una secchiata d’acqua di mare nella schiena e tutto questo per quasi un’ ora!!
Non so se per la bravura del pilota o per fortuna, ma non ci capovolgiamo, appena arrivati ci fondiamo in bagno per una doccia. Ovviamente chiamarla doccia è un po’ eccessivo, infatti qui ci si lava con l’acqua piovana (fredda) raccolta nelle botti e si usa mezza noce di cocco per gettarsela addosso. Probabilmente anche solo utilizzare un sistema a caduta era troppo dispendioso!!
Con nostra sorpresa ci servono il pranzo, avevamo inteso che lo avremmo saltato in cambio dei viveri che ci avevano dato per l’escursione. Mangiamo riso, pesce e verdure. Il vento soffia ancora forte e ora dopo aver riempito lo stomaco non ci resta che goderci il relax più totale sull’amaca cullati dallo scialacquio delle onde!
Alle 19.20 con nostro ulteriore stupore ci vengono a chiamare per la cena...... ma abbiamo appena pranzato!
Ci servono pesce fritto, riso e una specie di insalata russa con patate, il tutto si rivela abbastanza commestibile e vario nonostante a Panama City ci avessero avvisato che avremmo mangiato solo pesce.
La prima sera a San Blas la passiamo in una zona riparata dal vento gustandoci il totale relax e la totale pace di questo luogo; naturalmente con un bicchiere di buon rum portato dalla città!
Peccato solo per la stato di abbandono dell’intera struttura Con qualche piccolo accorgimento che non avrebbe minimamente intaccato la genuinità e la naturalezza del luogo sarebbe stato tutto sicuramente più piacevole.
La prima notte si rivela ben presto un calvario, il forte vento soffia proprio sul muro esterno della nostra camera e filtra attraverso le fessure tra le canne di bambù. A tratti si sente anche rumore di pioggia intensa e verso le 3 non potendone più del vento tentiamo di ripararci raddoppiando le lenzuola (fortunatamente nella camera ci sono 2 letti). Diciamo che funziona e dormiamo fino alla mattina quando tra la luce e il rumore del primo aereo in arrivo diamo inizio ad un nuovo giorno.

28/01/2006

La giornata inizia con il vento ancora forte e il cielo grigio carico di pioggia. Facciamo un’abbondante colazione a base di uova fritte, pane e marmellata, dopo di chè preparate le nostre cose, siamo di nuovo pronti per partire alla scoperta di questo angolo di mondo. Facciamo una sosta per telefonare e ci informiamo sui traghetti che da Panamà portano a Isla Taboga visto che avremmo intenzione di saltare al volo sul traghetto per Taboga lo stesso giorno che torneremo da San Blas. La cosa più difficile è prendere la linea, e da quello che apprendiamo, ancora di più lo sarà arrivare in orario al traghetto visto che i voli non sono poi così puntuali.
Partiamo in direzione di Isla Perro, il percorso è totalmente contro vento, e le onde inoltre sembrano persino più alte di quelle che abbiamo incontrato ieri. Dopo 20-25 minuti di secchiate nella schiena il barcaiolo ci chiede se intendiamo proseguire o preferiamo tornare indietro; per noi non fa differenza ma la coppia di americani intende proseguire (e dire che hanno una certa età!). Altri 20 minuti di secchiate e ci infiliamo tra un gruppo di isole dove il mare è protetto e più calmo. La pioggia però continua ad annaffiarci e tutti bagnati la temperatura non è poi così piacevole, questo nonostante l’acqua del mare sembri persino tiepida.
Dopo un breve passaggio sulla barriera corallina e uno in mare aperto, arriviamo finalmente a destinazione.
Isla Perro è una piccola isola con attorno un ampia zona dove è possibile fare snorkeling e persino visitare un pittoresco relitto che si trova adagiato sul fondo a pochi metri di profondità dove molti pesci hanno trovato casa.
Nel frattempo su di un'altra barca che ha approdato sull’isola è arrivata anche una ragazza italiana che era con noi sull’aereo, così ne approfittiamo per fare conversazione e scambiare qualche opinione sul luogo.
Il sole non intende proprio farci visita, comunque facciamo qualche bagno con visita al relitto e tante foto. Qui il colore del mare è veramente stupendo anche senza il sole e lascia un ricordo forte e indelebile nonostante il cattivo tempo.
Verso le 15.00 riprendiamo la via di casa. Il viaggio di ritorno si rivela più tranquillo, ora infatti il vento soffia in direzione favorevole e gli schizzi d’acqua sono molto limitati In alcuni momenti però, quando dalla cresta dell’onda vediamo tutto dall’alto e dopo pochi secondi siamo giù in fondo, devo ammettere che non ci manca di trattenere il fiato!
Sempre cocco alla mano facciamo una bella doccia e ci mettiamo a letto per riposare, ma anche oggi nonostante non ci dovesse essere il pranzo (e questa volta sono sicuro di aver capito bene) alle 16.40 ci chiamano per mangiare. Quest’ oggi riso, lenticchie e carne. Dopo l’abbondante “merenda” chiediamo cortesemente se la cena può essere posticipata.
Nel frattempo il vento è calato di intensità e il tempo sembra migliorato, speriamo sia di buon auspicio per il nostro ultimo giorno qui.
Alle 20.00 le cena è già servita un’altra volta, e ad essere sinceri quando ci chiamano gli altri hanno già praticamente finito. Mi viene quasi il dubbio che ci abbiano messo all’ingrasso per cucinarci sulla griglia!
Ci servono una granseola intera, e passata la sensazione iniziale dove sembra quasi che ci sia poco da mangiare, alla fine siamo quasi stomacati dalla quantità di granchio che abbiamo mangiato!!
Dopo cena ritorniamo nel nostro angolino di tranquillità, cullati dal rumore del mare, dall’ondeggiare dell’amaca e dal solito bicchiere di rum.

29/01/2006

Insieme alla notte è passato anche un forte acquazzone, ma ora il tempo sembra migliorato.
Dopo la solita colazione a base di pane, uova e marmellata siamo di nuovo pronti per partire alla scoperta di qualche isolotto sperduto. Purtroppo manca il pilota che nella serata precedente, recatosi a Cartì dove si svolgevano celebrazioni in onore due ragazze che hanno raggiunto la pubertà, si è scolato troppe birre!!
In attesa del sostituto intratteniamo una conversazione con Juan Garcia (proprietario della struttura) e con il turista giapponese (ospite come noi sull’ isola) sulle molas e sul fatto che ormai si vada perdendo la tradizione dei disegni tipici e che per motivi commerciali e turistici le donne preferiscano ricopiare figure viste sui giornali.
Finalmente partiamo, ma purtroppo nonostante ci sia bel tempo il mare è ancora molto agitato e nei 50 minuti di viaggio sbattuti dalle onde su questo piccolo cayuco ci rendiamo veramente conto della forza e della grandezza del mare.
La nostra destinazione è Isla Pellicano, quando arriviamo lo spettacolo è senza eguali, nonostante il mare mosso e il sole che gioca a nascondino con le nuvole. L’isola ci appare come un granello di sabbia, ornato da qualche palma e sbattuto dalle onde e dall’alta marea.
Purtroppo le favole esistono solo sui libri per bambini: insieme a noi infatti sbarcano 4 italiani modello all-inclusive che se la tirano parecchio e con tanto di guida italiana al seguito. Mi limito a scambiare 4 chiacchiere con la loro guida, un ragazzo italiano che da 3 anni collabora con i Kuna per quanto riguarda il cibo (ne hanno veramente bisogno) e per dargli una impostazione minima di accoglienza turistica. Apprendiamo anche che da quando è qui non ha mai visto il mare così agitato!! Come se non bastasse alle 11.00 se ne va il sole e un’altra volta lascia il posto definitivamente alle nuvole e a qualche goccia di pioggia.
Concordiamo con il giapponese e con l’autista di ritornare in anticipo, infatti alle 14.00 siamo già a casa; proprio oggi che eravamo riusciti a disdire il pranzo del tutto!
Alle 15.15 andiamo in visita nell’isola a fianco, la comunità di Nalunega da dove viene l’autista. Dopo estenuanti trattative compriamo 3 molas, ricercandole tra quelle con il disegno più tradizionale possibile, anche se non sono di fattura “FINE”, come dicono qui per indicare le più pregiate e rifinite meglio, che a detta di Juan costano anche 150$.
Terminato il giro a Nalunega ci facciamo portare anche a Wichub-Huala l’altra isola a due passi da noi, poi non ci resta che l’ultima doccia a noce di cocco e un po’ di relax in attesa che ci venga servita la cena.
Anche se eravamo convinti di aver ottenuto quello che volevamo, frutta a mezzogiorno e cena alle 20,00, alle 18.20 il signor Juan viene a chiamarci per sapere se vogliamo mangiare! Proviamo a trattare un po’ ma riusciamo a spuntarla solo per le 19.00.
L’ aragosta è un po’ troppo cotta ma davvero buona, sarà che l’hanno pescata nel pomeriggio! Terminata la cena salutiamo il ragazzo giapponese che si fermerà qui un altro giorno e andiamo in veranda a gustarci l’ultima sera a base di relax e rum. Peccato che a causa del brutto tempo non si veda nemmeno una stella, perché con questo buio e sperduti in mezzo al mare sono convinto che sarebbe uno spettacolo stupendo!
Anche l’ultima notte è fresca e ventilata e non di rado ci capita di essere svegliati dalle onde che si infrangono sotto la nostra palafitta.

30/01/2006

Il risveglio giunge quando fuori è ancora tutto buio, giusto il tempo di raccogliere le nostre cose e partiamo in cayuco in direzione El Porvenir. Fortunatamente l’isola è molto vicina e il moto ondoso minimo. Dalle prime luci dell’alba possiamo vedere che il tempo non è molto diverso da quello dei giorni scorsi, anche se il vento sembra calato ulteriormente.
Come capita spesso l’aereo è in ritardo di quasi un’ora ma, quando arriva, la sorpresa più grossa è vedere che si tratta di un minuscolo bimotore a 8 posti! Fatti i dovuti scongiuri saliamo, siamo con una coppia di spagnoli e una donna kuna.
Il decollo risulta migliore del previsto e dopo pochi minuti ci rendiamo conto che ci aspetta la sosta a Rio Sidra anche questa volta.
L’atterraggio risulta meno traumatico che con l’altro aereo, l’unico problema è che durante la sosta carichiamo altra gente e a dire il vero al momento del decollo sull’aereo siamo in 10, oltre al pilota naturalmente! Mentre due bambini si tengono uno in braccio all’altro e il ragazzo italiano che è seduto a fianco del pilota sembra molto perplesso, prendiamo lentamente quota.
L’aereo sale lentamente e, nel vasto giro che compie per mettersi in direzione di Panama City, ci permette di dare un’ ultimo sguardo e un’ ultimo saluto a questi microscopici atolli che sbucano a perdita d’occhio e ci appaiono come perle verde smeraldo incastonate nel blu cobalto dell’oceano atlantico.
Il volo di ritorno è abbastanza tranquillo, anche se le dimensioni dell’aereo e il sovraccarico di persone ci tengono in apprensione tutto il tempo. Dopo aver sorvolato jungla e montagne iniziano i terreni coltivati come un immensa scacchiera e infine ci appaiono i grattacieli di Panamà.
Recuperati anche i bagagli ad Albrook ci rechiamo alla Calzada, chiediamo se è possibile prenotare la lancia della mattina seguente per Taboga, visto che per oggi ormai è persa, ma ci dicono che non è possibile e che domani alle 7.00 dobbiamo già essere qui per assicuraci un posto sull’unica traversata giornaliera.
Solo ora, fermandoci un attimo, ci rendiamo conto che solo una quarantina di minuti fa siamo decollati da uno sperduto atollo nell’ Atlantico per atterrare in una metropoli di grattacieli sul Pacifico, due oceani così vicini e due realtà così lontane.
La giornata si rivela ancora molto nuvolosa e in fondo non ci dispiace nemmeno tanto doverla dedicare allo shopping pre-partenza. Saltiamo da un centro commerciale all’altro tra generi alimentari e vestiti a prezzi stracciati e per la seconda volta durante queste settimane ci chiedono se siamo brasiliani, ma vista la poca abbronzatura mi sento un po’ preso per il culo a dire il vero!

31/01/2006

Anche oggi sveglia all’alba, la posizione geografica del paese offre la strana sensazione di vedere il sole sorgere dal Pacifico e oggi sembra proprio annunciare un bel sole e un cielo prevalentemente azzurro.
Alle 7.10 siamo già in fila per i biglietti anche se l’ufficio apre alle 7.30. Si parte quasi puntuali alle 8.35, e in un’ora circa con il sole che gioca a nascondino con le nuvole arriviamo a destinazione.
Le stanze dell’ hotel Taboga non sono bellissime e di certo non valgono i 55$ richiesti, inoltre per una camera vista mare voglio 5$ in più affermando che ha 2 letti. Ci teniamo la nostra vista montagna e corriamo in spiaggia per goderci il sole. La spiaggia è abbastanza grande e collega l’isola con uno scoglio che si trova proprio nelle vicinanze. In realtà nel pomeriggio quando la marea sale di parecchi metri tutto viene incredibilmente sommerso e sull’isola non rimangono più spiagge!
Il mare è nero e non sembra affatto pulito, ma ormai non ci resta che sperare nel sole per goderci questi ultimi giorni di vacanza visto che in fondo non abbiamo più molte alternative!
Nel pomeriggio il sole lascia definitivamente il posto alle nuvole, in compenso facciamo amicizia con una coppia di italiani che vivono a pochi chilometri da casa mia e sono in viaggio per il paese già da 30 giorni. Ci dicono di essere scappati dopo 4 giorni di pioggia a Bocas del Toro ma in compenso hanno fatto 4 giorni di tempo stupendo alle San Blas.
Dopo un bel tuffo in piscina per toglierci la sabbia di dosso, anche se forse è meglio non farlo sapere a quelli dell’ hotel, facciamo un giro per il paese che però non sembra offrire molto.
La verità è che Isla Taboga è forse adatta per una gita domenicale fuori porta e 2 giorni già mi appaiono troppi; non si capisce bene se è decaduta da antichi fasti o non è mai decollata. Da quello che ci hanno detto oggi però, nemmeno Portobelo e Isla Grande offrivano molto di più, la zona di Gorgonia poi come mare ci è stata descritta in maniera pessima, probabilmente l’unica alternativa che avevamo per fare 2-3 giorni di mare era saltare su di un aereo per Contadora nell’arcipelago de Las Perlas.
Per la cena decidiamo di andare al Vereda-Tropical, uno splendido hotel-ristorante che dall’alto offre un’ incantevole vista sulla piccola baia di Taboga e sulle lontane luci della città. A rendere la cena ancora più romantica ci sono i fiori tutt’attorno e il fatto di essere i soli clienti del locale! Prendiamo una paella per 2 e una bottiglia di sauvignon cileno.
Dopo cena non ci resta che andare a dormire visto che sembriamo le uniche persone in circolazione e nel parco del hotel facciamo un’incontro che a causa del buio non riusciremo mai a definire. Infatti mentre io affermo si tratti di paguri che vista l’alta marea sono usciti dall’acqua, Linda sostiene si tratti di ragni. Viste le dimensioni mi auguro di avere ragione!!

01/02/2006

Al risveglio il tempo è peggio del previsto e piove a dirotto. Ci facciamo restituire i soldi del secondo giorno e spostiamo la data di ritorno in traghetto. Così, dopo una bella colazione siamo di nuovo di ritorno verso Panamà City. Sul traghetto rincontriamo i nostri nuovi amici che come noi scappano da Taboga! Da loro apprendiamo però che nel loro ostello c’era l’acqua calda a differenza del nostro hotel che di contro costava il triplo!
All’arrivo troviamo il taxista cubano che ci aveva portato a spasso qualche giorno prima e non possiamo sottrarci alle sue attenzioni, dividiamo il taxi in quattro e ci diamo appuntamento al pomeriggio per un giro in città.
Passiamo il pomeriggio con le nostre nuove guide turistiche a spasso per la città sui pittoreschi bus locali, in particolare per l’Avenida Central e per il Casco Viejo. L’Avenida Central è il cuore pulsante della Panamà più genuina, quella lontana dalle banche d’affari che riciclano e muovono denaro. È una via pedonale dove negozi a destra e sinistra vendono di tutto a prezzi più che popolari, ma soprattutto è un bagno di colori, suoni e odori.
Ci mancava proprio questo tuffo nella Panamà cittadina, pura e genuina, dove ogni giorno si inventano mestieri per sopravvivere, c’è persino chi vende chiamate con il cellulare! Dopo esserci fatti trasportare con un tuffo nel mare pulsante di una città in movimento, portiamo i nostri amici a conoscere Maria Grazia al Punto Italia. Facciamo una bella chiacchierata e conoscenza con i suoi alunni e decidiamo di incontrarci domani a mezzogiorno al mercato del pesce dove nel piano superiore si trova un ristorante.
Dopo un breve tratto di strada a piedi salutiamo i nostri amici e ci diamo appuntamento a domani, od eventualmente per stasera al casinò. Ci hanno infatti raccontato che loro sono abituè: ingresso gratuito e basta giocare pochi dollari ai video poker (o fare finta) che si beve a scrocco tutta sera!!
Ceniamo su via Argentina, in un ristorante dove fanno la parilla e vista la vicinanza e un po’ di ritrovata fiducia nei panameni ci dirigiamo a piedi verso il Casinò Veneto. Arriviamo indenni nonostante un insistente venditore di rose a cui abbiamo dovuto cedere!
A differenza dei nostri casinò qui è un po’ tutto alla buona, si entra in jeans e maglietta anche ai tavoli verdi e l’impressione più evidente è che qui lavorino parecchio anche le prostitute!!
Quando abbiamo sete facciamo qualche colpo alla slot machines, così ci offrono cuba libre e birra tutta sera.

02/02/2006

Ultimo giorno a Panamà.
Anche se il sole gioca un po’ a nascondino decidiamo di passare la mattinata nella piscina dell’ hotel; definirla piscina è eccessivo ma è quello che passa il convento!
Facciamo conoscenza con un ragazzo romano che sta per partire ma ci racconta che vuole tornare ad ottobre per rimanere e costruire qualcosa qui, più precisamente nella zona di Isla Coiba.
A ora di pranzo ci facciamo portare all’incontro, il ristorante è proprio sopra al mercato è dall’alto si possono ammirare i venditori intenti a pulire e sfilettare il pesce.
Maria Grazia arriva con un naturale ritardo panameno, e dopo aver ordinato, nella lunga attesa ci facciamo raccontare il paese dal punto di vista Gallana. Il nostro tavolo tra l’altro ha proprio la vista sul vicolo in cui ormai 3 settimane prima ci hanno rapinato!!
Dopo una visita a casa sua per un buon caffè Lavazza la salutiamo e ci congediamo anche dai nostri amici con un augurio di buon proseguimento e di rincontraci a casa.
Come programma per l’ultima sera a Panamà abbiamo invitato fuori a cena Lilia.
Alle 17.00 passiamo a prenderla all’uscita dal lavoro e facciamo un bel giro assieme per i negozi di Albrook. Ha infatti espresso il desiderio di andare a mangiare la carne alla griglia in una della catene tipo fast food che popolano i centri commerciali.
Passiamo 4 piacevoli ore parlando di quello che Panamà ci ha dato e anche un po’ di quello che a lei manca molto dell’Italia e dopo un saluto che sa già di nostalgia andiamo a preparare le valigie.

03/02/2006

Facciamo l’ultima colazione al self-service del supermercato Riba-Smith e passeggiamo un’ ultima volta per le chiassose vie di Panamà, con i suoi autobus rumorosi e scassati che sfrecciano a tutta velocità, con i suoi quartieri quasi ordinati e con quelli sporchi avvolti dal dolciastro odore di spazzatura, con i ricchi grattacieli dove si ricicla denaro e forse si vendono anche le anime, lì a pochi isolati da quartieri spogli e sporchi dove tutto sembra da sempre precario e dove forse non si ha più neppure l’anima da vendere.
Come previsto arrivati in hotel l’amico taxista cubano non c’è, contrattiamo lo stesso prezzo con un altro e partiamo verso l’aeroporto.
Ci attendono le lunghe ore di volo e i 3 scali che ci riporteranno nel freddo e nella routine di casa, lontano da questa avventura panamena, dal calore della gente, del sole, lontano dai colori di questa natura imponente e a tratti incontaminata. Dai colori del mar dei Caraibi, da questo paese dove il tempo cambia rapidamente e dove i trasporti sono il più grande caos organizzato mai visto!!
Ma soprattutto lontano dalle persone che per un motivo o per un altro hanno incrociato le loro vite con le nostre anche solo per qualche istante permettendo al viaggio di essere a maggior ragione unico e indimenticabile.

Un saluto particolare a Lilia, Maria Grazia, Nicola e Monia con cui è nata una nuova amicizia.


Questo racconto è pubblicato anche su www.turistipercaso.it



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1 commento:

Cesco ha detto...

anche io sono stato e sono innamorato di panama